La normativa emergenziale di bilancio dettata dal decreto Liquidità prima e dal decreto Agosto poi intende fornire un supporto alle aziende. Con approcci diversi, però: se l’intervento del decreto Liquidità partiva dal presupposto che il fine supremo informativo del bilancio (fornire una rappresentazione veritiera e corretta della situazione aziendale) non deve mutare, con il decreto Agosto l’approccio cambia, finendo per affossare la funzione informativa del bilancio. Si assiste a una virata di rotta del Legislatore, maldestra dal punto di vista dell’informativa di bilancio, che confonde questioni tecniche-contabili con le esigenze di supporto all’economia delle aziende. Con l’effetto di creare anche forti disparità tra le società che adottano gli IFRS e quelle che adottano le regole contabili italiane.
Con questo contributo vorrei indurre una riflessione sulla normativa emergenziale di bilancio indotta dal Covid, con l’emanazione di nuove regole o interpretazioni del quadro civilistico sulla redazione del bilancio.
È bene partire dalla considerazione che l’emergenza Covid ha indotto nei bilanci delle aziende tre tipi di problemi, i primi due più tecnici, il terzo ben più sostanziale.
La questione tecnica riguarda in primis il bisogno di disporre di regole per la contabilizzazione di operazioni “nuove”, determinate da alcuni provvedimenti di supporto dell’economia varati dal Governo. Ad esempio, l’introduzione del “bonus 110%” e il conseguente credito fiscale sugli interventi di riqualificazione edilizia presentano caratteristiche (come la possibilità di cedere il credito) che rendono necessario fornire delle regole di contabilizzazione specifiche e che al momento in cui scriviamo sono in corso di elaborazione da parte dell’OIC.
La questione tecnica più importante riguarda però la difficoltà generale a compiere durante questa emergenza delle previsioni attendibili circa i prossimi andamenti di mercato. Ciò dipende dalle limitazioni poste dai vari governi e dalle varie autorità amministrative alla circolazione di persone, in relazione all’evoluzione della pandemia; queste misure di prevenzione sanitarie condizionano fortemente la domanda di mercato, sia direttamente, come nei casi di chiusura di interi settori merceologici, sia indirettamente, determinando ostacoli allo svolgimento delle produzioni o, più in generale, incidendo sul senso di fiducia dei consumatori. Tale difficoltà a compiere stime attendibili condiziona negativamente la possibilità di redigere dei piani aziendali affidabili e questi piani sono la base per molte valutazioni di bilancio (stima delle perdite durevoli delle immobilizzazioni e relativo impairment test, imposte anticipate, capitalizzazione di oneri pluriennali, etc.).
La difficoltà a redigere piani attendibili arriva fino a mettere in discussione la possibilità di dimostrare agli organi di controllo la continuità aziendale, in quanto tale proto-postulato di bilancio del bilancio richiede nel concreto che sia dimostrabile la prosecuzione dell’attività tramite la predisposizione di un piano attendibile che riguardi almeno i successivi 12 mesi.
La questione sostanziale riguarda invece i pessimi andamenti di business che questo Covid ha comportato e che trovano riflesso nei bilanci delle aziende di molti settori come peggioramento dei margini e dei flussi di cassa.
Ad avviso di chi scrive le due questioni, quella tecnica e quella sostanziale, vanno tenute ben distinte se le si vede dal punto di vista della normativa emergenziale.
Finora il nostro Legislatore è intervenuto con due provvedimenti.Il primo intervento vi è stato a marzo con il D.L. n. 23 dell’8 aprile 2020 (articoli 6 e 7), emanato in pieno lockdown, cui ha fatto seguito un’interpretazione dell’OIC.
Il secondo è il D.L. n. 104 del 14 agosto 2020 (art. 50, commi 7-bis – 7-quater).
Il primo intervento era diretta conseguenza del lockdown, innescato dalla consapevolezza che le aziende italiane nel complesso avrebbero subito gravi perdite per la pandemia e che non vi era alcuna stima fondata circa la presunta evoluzione del contagio e delle conseguenti misure restrittive.
Se la volontà di fornire un supporto alle aziende era chiara e condivisa da tutti, diversi erano gli approcci proposti per ottenere quel risultato. Il primo approccio era di intervenire sul bilancio, permettendo di ridurre gli ammortamenti e depotenziare le svalutazioni, di capitalizzare costi e di rivalutare cespiti, entrando quindi dentro gli specifici criteri di valutazione e permettendone la deroga per salvare risultati di esercizio e patrimoni netti. Tali obiettivi sarebbero stati raggiunti a scapito della capacità informativa dei bilanci, dal momento che questi non avrebbero più rappresentato la reale situazione economica di un’azienda, in quanto piegati alla diversa finalità di permettere la sopravvivenza aziendale evitando di stanziare perdite ed erosioni dei patrimoni netti.
Il secondo approccio proposto invece partiva dal presupposto che il fine supremo informativo del bilancio non deve mutare, e sempre consiste nel fornire una rappresentazione veritiera e corretta della situazione aziendale. Per cui, secondo tale approccio, il supporto alle aziende doveva consistere nell’evitare le conseguenze societarie di quelle perdite, disattivando temporaneamente le norme connesse alla necessità di ricapitalizzare in caso di perdite e alla liquidazione della società per perdita del capitale e permettendo quindi, in via eccezionale, di operare in deficit patrimoniale.
Il decreto Liquidità aveva scelto questo secondo approccio per i bilanci dell’esercizio 2020, non rendendo applicabili gli articoli 2446, 2447, 2482-bis e ter, e non operativa la causa di scioglimento della società per riduzione o perdita del capitale sociale di cui agli articoli 2484, n. 4 e 2545. In chiave più tecnica, aveva poi ritenuto che il bilancio dell’esercizio 2020 fosse redatto senza dover dimostrare la sussistenza del proto-postulato della continuità aziendale, per l’impossibilità concreta di sviluppare piani attendibili per il futuro. La disposizione era generale, valendo a prescindere dal sistema di regole adottato (regole nazionali o principi IFRS).
L’approccio muta invece con l’intervento fatto dal D.L. n. 104 di agosto, convertito in legge poi il 13 ottobre, con il quale (art. 50, comma 7-bis e seguenti), solo per le società che non adottano gli IFRS, si permette di non imputare ammortamenti al conto economico dell’esercizio 2020 consentendone comunque la piena deducibilità fiscale, con accantonamento degli ammortamenti non imputati a riserva indistribuibile.
La norma in questo caso adotta implicitamente il primo approccio sopra descritto, quello di inquinare i bilanci intervenendo su uno specifico ed importante criterio di valutazione, lo stanziamento della quota di ammortamento.
Questa norma origina molte perplessità creando scompiglio nel quadro normativo di bilancio.
Se si voleva permettere una agevolazione alle imprese come riduzione del reddito fiscalmente imponibile, sarebbe stato sufficiente permettere tramite dichiarazione dei redditi misure come il raddoppio della quota di ammortamento deducibile a prescindere dall’imputazione a conto economico, come una specie di ammortamento anticipato che i più anziani ancora si ricordano.
Invece si permette di non far stanziare ammortamenti a conto economico senza pretendere una giustificazione economica come il minor uso degli impianti, che nel conto economico potrebbe già esser consentita dall’art. 2426, comma 2, secondo il quale le quote di ammortamento possono esser variate da un esercizio all’altro (“Eventuali modifiche dei criteri di ammortamento e dei coefficienti applicati devono essere motivate nella nota integrativa”).
Ancora più preoccupante è la completa dimenticanza della possibile operatività in un contesto Covid dell’art. 2423, comma 5, c.c. che già prevede la possibilità per il redattore del bilancio, in casi eccezionali, di non applicare una disposizione che non permetta di rispettare la clausola generale della rappresentazione veritiera e corretta. E sicuramente il fenomeno Covid 19 può essere, a buon diritto, annotato fra i casi eccezionali. Per cui l’intervento normativo dell’emendamento del D.L. n. 104 volto a evitare l’imputazione di ammortamenti a conto economico sembra superfluo, potendo esso trovare risposta, se motivato da circostanze fattuali come il minor uso degli impianti, già nei principi generali (art. 2426, n. 2 e, a fortiori, art. 2423 – 5).
Più in generale il provvedimento del decreto di ottobre affossa la funzione informativa del bilancio quando già il decreto di aprile aveva già scongiurato le conseguenze societarie delle perdite di bilancio, permettendo la sopravvivenza societaria anche in situazioni di deficit patrimoniale. In questo senso, si assiste ad una virata di rotta del Legislatore, maldestra dal punto di vista dell’informativa di bilancio che confonde la sopra richiamata questione tecnica contabile con le esigenze di supporto all’economia delle aziende. Tra l’altro la norma del decreto n. 104 crea forti disparità tra le società che adottano gli IFRS e quelle che adottano le regole contabili italiane, che sono le uniche a potersi avvalere di questa “agevolazione”, quasi come a dire che per le prime la funzione informativa del bilancio va salvaguardata, mentre le seconde possono farne a meno.
Alberto Quagli